Il Coronavirus da una prospettiva evoluzionistica

I virus sono specie-specifici, ogni specie ha i suoi. L'organismo degli ospiti è l'ambiente naturale dei virus, ma al contempo l'ospite si è adattato per resistere al proprio virus, ovvero c'è stata coevoluzione.
La specificità dei recettori di membrana rappresenta una barriera biologica equivalente alle barriere biogeografiche (ossia i muri della natura che ostacolano le migrazioni, quali mari, catene montuose, deserti, ghiacciai, fiumi, ecc.). Ciononostante, il tasso di mutazione dei virus è elevato e talvolta capita che casualmente una mutazione gli permetta di infettare una nuova specie, ovvero di colonizzare un nuovo ambiente.
A questo punto valgono le stesse dinamiche delle specie alloctone invasive: l'ambiente che riceve la specie invasiva non si è coevoluto per resistere ad essa. La diffusione di specie invasive causata dalla globalizzazione è tra i principali problemi ecologici, i gravi danni ambientali arrecati in Australia dal gatto domestico è solo l'esempio più famoso.
La differenza tra la normale influenza e il coronavirus è questa: il nostro organismo conosce già i virus della nostra specie e sa come resistergli, mentre il coronavirus è nuovo, è un virus dei pipistrelli passato all'uomo di recente. L'organismo umano deve evolversi per contrastarlo, quanto ci costerà questa evoluzione (in termini di selezione naturale) nessuno può dirlo: la biologia non è nel novero delle scienze esatte proprio perché non permette di fare previsioni su ciò che accadrà precisamente, può solo descrivere a posteriori o tutt'al più dare delle probabilità.
Tutto sta nel livello di preadattamento, ovvero quanto i precedenti adattamenti immunitari per contrastare i vecchi virus saranno utili per contrastare il nuovo.
Va inoltre considerato che, come tutti i parassiti, i virus non traggono beneficio dalla morte dell'ospite, quindi generalmente tendono essi stessi ad adattarsi, evolvendo in ceppi meno letali. Per tale ragione i parassiti sono perniciosi per gli ospiti occasionali più che per gli ospiti specifici.
Gli umani stanno rappresentando le cavie per lo studio di questo patogeno.
Infine mi chiedo se il coronavirus, come il papilloma virus, modifichi il genoma dell'ospite aumentando il rischio di sviluppare il cancro anche a distanza di tempo dalla guarigione. Lo scopriremo solo morendo.