Comportamento ed Evoluzione: una risposta ad Andreas Rimoldi

Andreas Rimoldi commenta il mio articolo La Fantaevoluzione dei Gabbiani romani come segue.

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Io non ho affermato che se ti comporti da rapace, diventi un rapace, bensì che se ti comporti da rapace, per convergenza evolutiva, potresti diventare simile ad un rapace ed a quel punto un tassonomista, sulla base di tale somiglianza, potrebbe decidere di includerti tra i membri in un gruppo polifiletico e chiamarlo "rapaci". Rimane il valore attribuito al comportamento nell'evoluzione. Contrariamente a Rimoldi, io sostengo che il comportamento indirizza l'evoluzione. Tale affermazione potrebbe sembrare sbagliata poiché apparentemente rimanda al lamarckismo. Secondo Lamarck, l'uso induce il cambiamento, ed il cambiamento prodotto dall'uso viene ereditato. Il progenitore della giraffa inizia a protrarre il collo verso l'alto per cibarsi delle foglie degli alberi, questo comportamento induce l'allungamento del collo il quale viene ereditato dalla prole che a sua volta continua a protrarre il collo verso l'alto e quindi ad allungarlo sempre di più. Il Lamarckismo è stato confutato dal Darwinismo: la proto-giraffa che casualmente nasce con un collo più lungo delle altre cospecifiche ha una probabilità di sopravvivenza maggiore e quindi diffonde maggiormente i suoi geni nella popolazione. La distinzione tra linea somatica e linea germinale impedisce inoltre l'integrazione dei caratteri acquisiti dall'adulto nella prole. Ciononostante, l'infondatezza delle teorie dell'uso e disuso e della ereditarietà dei caratteri acquisiti non implica che il comportamento dell'individuo non svolga un ruolo fondamentale anche nell'evoluzione darwiniana. Il comportamento continua ancora ad indirizzare l'evoluzione, anche alla luce del darwinismo. Lo hanno spiegato sia Ernst Mayr sia Jacques Monod, due personaggi che non dovrebbero avere bisogno di presentazioni.

Trascrivo di seguito un brano tratto da Biologia ed Evoluzione di Ernst Mayr.

Cominciamo a prender coscienza del rilevante concetto, secondo il quale, la maggior parte delle trasformazioni evolutive più importanti è stata probabilmente provocata da trasformazioni etologiche. La morfologia di una lontra non è molto diversa da quella di tutti gli altri membri strettamente terrestri della famiglia dei mustelidi. È solo il suo comportamento acquatico che ci fa dire ch'esso è un animale acquatico. Ma perché un ceppo evolutivo possa essere diventato realmente acquatico, si dovette produrre una forte pressione selettiva per migliorare il suo adattamento al nuovo ambiente. Questo fenomeno ha dato origine a mammiferi sempre meglio adattati, come le foche, gli elefanti di mare, i trichechi, i sirenidi, i delfini e le balene.
Citiamo ancora l'esempio dei picchi, i quali provengono chiaramente da una famiglia tropicale di uccelli, i barbuti (Capitonidae). I picchi più primitivi che vivono ai tropici dell'antico e del nuovo mondo assomigliano ancora ai barbuti (Piciformi) per la struttura del becco, delle zampe e della coda, ma perforano i tronchi d'albero come gli altri picchi. Essi sono diventati picchi solo per quanto concerne il loro comportamento; ma i picchi più avanzati presentano una coda rigida, una riorganizzazione delle dita e diverse specializzazioni del becco che li rendono più efficienti. In questo caso è avvenuta inizialmente una trasformazione del comportamento, che ha provocato un nuovo insieme di pressioni selettive, con il risultato, dopo il tempo necessario, della formazione di adattamenti morfologici. Oggi è quindi evidente che il comportamento è uno dei princìpi motori dell'evoluzione, ovvero, in altre parole, che quella che si costituisce per prima è la modificazione del comportamento, che è la causa di successivi cambiamenti strutturali. Si tratta dunque di una teoria esattamente opposta a quella del preadattamento di Lucien Cuénot, secondo la quale si ha, come prima tappa di una trasformazione evolutiva, una mutazione strutturale, cui segue poi un cambiamento etologico. La moderna genetica, come del resto i dati desunti dallo studio del comportamento, smentisce la teoria della mutazione preadattativa. Al contrario è una nuova pressione selettiva su un pool genico variabile che provoca l'inizio del processo evolutivo, e ciò che produce questa nuova pressione selettiva non è altro che il cambiamento di comportamento.

Il brano successivo è tratto dal paragrafo intitolato Il comportamento come agente che orienta le pressioni selettive contenuto ne Il Caso e la Necessità di Jacques Monod.

La scelta iniziale di questo o di quel tipo di comportamento potrà esercitare spesso un'influenza a vasto raggio non solo nei confronti della specie in cui si sarà manifestata per la prima volta in forma rudimentale, ma in tutta la sua discendenza, anche se questa è costituita da un intero gruppo. Come è noto, le grandi articolazioni dell'evoluzione sono da attribuirsi all'invasione di nuovi spazi ecologici. La comparsa dei Vertebrati tetrapodi e la loro meravigliosa espansione, affermatasi con gli Anfibi, i Rettili, gli Uccelli e i Mammiferi, trae proprio origine dal fatto che un pesce primitivo "scelse" di andare a esplorare la terra, sulla quale era però incapace di spostarsi se non saltellando in modo maldestro e creando così, come conseguenza di una modificazione di comportamento, la pressione selettiva grazie alla quale si sarebbero sviluppati gli arti robusti dei tetrapodi. Tra i discendenti di questo audace esploratore, di questo Magellano dell'evoluzione, alcuni possono correre a una velocità superiore ai 70 km orari, altri si arrampicano sugli alberi con sorprendente agilità, altri ancora hanno conquistato l'aria realizzando, prolungando e ampliando in modo prodigioso il "sogno" di quel pesce ancestrale.
Il fatto che, nell'evoluzione di certi gruppi, si osservi una tendenza generale, mantenutasi per milioni di anni, verso lo sviluppo apparentemente orientato di determinati organi, è la prova di come la scelta iniziale di un certo tipo di comportamento (per esempio di fronte all'aggressione di un predatore) impegni la specie a perfezionare continuamente le strutture e le prestazioni che di tale comportamento costituiscono il supporto. Proprio per il fatto che gli antenati del cavallo scelsero di vivere in pianura e di fuggire all'approssimarsi di un predatore (piuttosto che tentare di difendersi o di nascondersi), la specie moderna, in seguito a una lunga evoluzione che include molteplici stadi di riduzione, cammina oggi sulla punta di un solo dito.
Sappiamo che certi comportamenti molto precisi e complessi, come la parata prenuziale degli Uccelli, sono strettamente collegati a certe caratteristiche morfologiche particolarmente vistose. È indubbio che l'evoluzione di un simile comportamento e quella del carattere anatomico che ne è alla base sono andate di pari passo, l'una richiamando e rafforzando l'altra sotto la spinta della selezione sessuale.

La seconda ed ultima obiezione, sollevata dal Rimoldi verso il mio articolo, riguarda il generalismo ecologico della specie, il quale, secondo lui, bloccherebbe l'evoluzione. La stessa obiezione è rimarcata dal commento successivo.

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Il generalismo non è il vicolo cieco dell'evoluzione, noi umani ne siamo la prova: i nostri progenitori erano generalisti eppure ciò non ha impedito l'anagenesi della nostra specie. Il generalismo non è il punto finale dell'evoluzione (altrimenti tutte le specie sarebbero diventate prima o poi generaliste e l'evoluzione non sarebbe proseguita), l'evoluzione non ha né fine né finalità.
Per inciso, non ho mai letto manga (tranne Berserk durante l'adolescenza), ho letto libri sull'evoluzione e credo di averli capiti. Annoverare una laurea in biologia non serve a dimostrare la mia comprensione dell'evoluzione, sia perché in Italia l'insegnamento universitario dell'evoluzionismo è negletto sia perché la comprensione della materia non è utile al superamento dell'esame dacché si predilige la ripetizione mnemonica.
Ai due detrattori si è aggiunta la Signorile.

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La Signorile mi accusa puerilmente di finalismo perché sono stato io, anni fa, a farle notare che il libro che ha scritto, L'Orologiaio Miope, ha un'impronta finalista: descrive l'evoluzione come se fosse diretta al raggiungimento di un obiettivo. Il mio articolo non fa questo, al contrario ha un'impostazione adattazionista. Dunque ne devo desumere che la Signorile, a distanza di anni, non ha ancora compreso che il finalismo è antitetico alla selezione naturale.

C'è in giro un sacco di gente che crede di aver capito l'evoluzione e pretende di insegnarla agli altri.