Crudeltà Animalista nella Letteratura e su Internet

Il Giorno, scritto da Giuseppe Parini nella seconda metà del '700, è un poemetto satirico sulla classe aristocratica. Il Vegetarianismo, in voga tra gli aristocratici dell'epoca, era considerato un vezzo vanaglorioso da Parini, dato il disprezzo che gli stessi aristocratici riservavano ai ceti inferiori. Nel poemetto, un personaggio vegetariano ed animalista, rammenta il giorno "funesto" in cui la sua cagnolina, la "vergine cuccia", morse il piede di un servitore, il quale in risposta la calciò via. Il servitore, sebbene lavorasse presso la famiglia da parecchi anni, fu punito con il licenziamento e mai più riassunto neanche dagli altri nobili, ai quali venne riferito del gesto "sacrilego" compiuto dal "villano". L'uomo fu perciò costretto all'indigenza, e nessun nobile si impietosiva vedendolo mendicare per strada con moglie e figli.

Or le sovviene il giorno,
ahi fero giorno! allor che la sua bella
vergine cuccia de le Grazie alunna,
giovenilmente vezzeggiando, il piede
villan del servo con l'eburneo dente
segnò di lieve nota: ed egli audace
con sacrilego piè lanciolla: e quella
tre volte rotolò; tre volte scosse
gli scompigliati peli, e da le molli
nari soffiò la polvere rodente.
Indi i gemiti alzando: aìta aìta
parea dicesse; e da le aurate volte
a lei l'impietosita Eco rispose:
e dagl'infimi chiostri i mesti servi
asceser tutti; e da le somme stanze
le damigelle pallide tremanti
precipitâro. Accorse ognuno; il volto
fu spruzzato d'essenze a la tua Dama;
ella rinvenne alfin: l'ira, il dolore
l'agitavano ancor; fulminei sguardi
gettò sul servo, e con languida voce
chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
al sen le corse; in suo tenor vendetta
chieder sembrolle: e tu vendetta avesti,
vergine cuccia de le Grazie alunna.
L'empio servo tremò; con gli occhi al suolo
udì la sua condanna. A lui non valse
merito quadrilustre; a lui non valse
zelo d'arcani ufici; in van per lui
fu pregato e promesso; ei nudo andonne
dell'assisa spogliato ond'era un giorno
venerabile al vulgo. In van novello
signor sperò; ché le pietose dame
inorridîro, e del misfatto atroce
odiâr l'autore. Il misero si giacque
con la squallida prole, e con la nuda
consorte a lato, su la via spargendo
al passeggiere inutile lamento:
e tu vergine cuccia, idol placato
da le vittime umane, isti superba.

[La Vergine Cuccia]

Giorni nostri: un cane urina sui giornali di un'edicola e l'edicolante lo calcia via. Risultato: edicolante costretto a chiudere l'attività a causa delle angherie animaliste [si veda il Corriere della Sera].
Gli animalisti esultano e si compiacciono della vittoria ottenuta.

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Di questa conversazione mi stupisce particolarmente l'uso del termine "giustizia".
Inoltre mi chiedo come mai nessuno abbia imputato al padrone la responsabilità di aver omesso di trattenere il cane al guinzaglio.

The Canterbury Tales, scritto da Geoffrey Chaucer verso la fine del 1300, narra di una monaca priora di estrazione aristocratica (era usanza aristocratica dell'epoca relegare i secondogeniti a vita ecclesiastica, in modo da impedire la frammentazione dell'eredità patrimoniale). Descritta come donna dai modi signorili (specie nel desinare), più dedita alla mondanità che all'ascetismo cristiano. Possedeva un rosario incastonato di gioielli vari, un oggetto di lusso piuttosto che di culto. Questo personaggio si compiaceva della propria bontà nell'alimentare i cani con cibo di qualità, anziché donarlo ai poveri. Vantava un animo talmente sensibile da piangere nel vedere un topo rinchiuso in una gabbietta.

She was so charitable and piteous
That she would weep if she but saw a mouse
Caught in a trap, though it were dead or bled.
She had some little dogs, too, that she fed
On roasted flesh, or milk and fine white bread.
But sore she'd weep if one of them were dead,
Or if men smote it with a rod to smart:
For pity ruled her, and her tender heart.

[The Canterbury Tales, General Prologue]

Giorni nostri: certi animalisti contemporanei preferiscono destinare la loro beneficenza ai cani, tramite donazioni di cibo e adozioni a distanza, piuttosto che ai bambini emaciati, come lamenta una missionaria.

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Si muore per inedia ma la malattia è causa di morte e di sofferenza anche peggiori.
Nel quadro dell'economia di libero mercato l'obiettivo è il profitto, perciò le case farmaceutiche non investono nella ricerca di cure per le malattie rare in quanto i costi supererebbero i ricavi. Il sostegno economico per questo tipo di ricerca deriva, quasi esclusivamente, dalle campagne di raccolta fondi, pertanto è particolarmente spregevole boicottarle.

Due post dello stesso utente a distanza di 29 minuti l'uno dall'altro:

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L'organizzazione AgireOra è zelante nel boicottare Telethon, offrono persino il banner.

Banner AgireOra

Dai brani citati, e da constatazioni personali, scorgo una relazione tra vita agiata e propensione all'animalismo. Evidentemente, l'emancipazione dalle esigenze primarie consente di potersi occupare di frivolezze. Ma principalmente, ciò che contraddistingue gli animalisti, è la più totale mancanza di empatia nei confronti della sofferenza umana.

Eraclito scrisse:

La malattia rende la salute piacevole e buona, la fame la sazietà, la fatica il riposo [fonte].

Questo è un aspetto della natura umana da tenere in considerazione, in altre parole non si può apprezzare pienamente l'importanza del benessere finché non manca. L'origine del cinismo degli animalisti deriva probabilmente da qui: non avendo mai patito in prima persona, non riescono ad avvertire la sofferenza negli altri.

Senza Vergogna.

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Fino a pochi anni fa, il contegno personale preservava da simili esternazioni, perché comunemente riconosciute deprecabili. Ma oggi, coloro che considerano animali ed umani sullo stesso piano, millantano superiorità morale, persuasi dalla religione incombente, figlia del benessere occidentale, l'Antispecismo, corrente filosofica concepita per trasformare in dottrina “morale” la psicopatologia animalista, imponendone i dettami alla società.

La mancanza di empatia degli animalisti nei confronti dell'uomo dipende presumibilmente dall'incapacità di immedesimarsi nell'altro, come intuì Ernest Hemingway, che in Morte nel Pomeriggio ebbe a scrivere:

Secondo le mie osservazioni direi che la gente potrebbe venir divisa in due gruppi generali: coloro che, per usare un termine del gergo della psicologia, s'identificano con gli animali, vale a dire si pongono al loro posto, e coloro che si identificano con gli esseri umani. Io sono persuaso per esperienza e osservazione che coloro i quali si identificano con gli animali, vale a dire gli innamorati quasi professionisti di cani e altre bestie, sono capaci di una maggior crudeltà verso gli esseri umani, di coloro che stentano ad identificarsi con gli animali [fonte].

Da notare che, coerentemente con quanto osservato da Hemingway, la propaganda animalista punta molto sull'immedesimazione con gli animali (per altro erronea in quanto si attribuiscono agli animali peculiarità mentali umane, come ho spiegato nell'articolo intitolato Antropopsicismo).

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Il pensiero comune degli animalisti, frequentemente espresso sui social network, è: «gli animali sono migliori dell'uomo». Ciò induce a ritenere che gli animalisti siano generalmente persone che compensano il bisogno d'affetto ripiegando sugli animali, giacché reduci da fallimenti nei rapporti umani: molto semplice ed immediato ricevere enfatiche manifestazioni d'affetto (le feste) da parte di un cane, molto più complicato conquistare l'approvazione ed instaurare relazioni con persone dotate di capacità di giudizio. Gli umani ti contraddicono, il cane mai, non puoi comandare una persona come fai con un cane, il cane si adatta sempre a te, fra persone invece è necessario adattarsi reciprocamente.

Un aforisma attribuito a George Eliot, citato acriticamente dagli stessi animalisti, recita:

Gli animali sono amici così simpatici, non fanno domande e non muovono critiche [fonte].

A riguardo, Konrad Lorenz, considerato il padre dell'Etologia, scrisse in E L'Uomo incontrò il Cane:

Tra gli amici dei cani vi sono anche coloro che cercano rifugio in un animale soltanto a causa di amare esperienze personali. Mi rattrista sempre sentire quella frase malvagia e totalmente falsa: «le bestie sono migliori degli uomini». Non lo sono affatto! […] il cane non conosce quel labirinto di obblighi morali, spesso in contrasto tra loro, che è proprio dell'uomo, non conosce, o soltanto in misura minima, il conflitto fra inclinazione e dovere, insomma tutto ciò che in noi poveri uomini crea la colpa. Anche il cane più federe è amorale, secondo il significato umano della responsabilità. Una chiara ed esatta conoscenza del comportamento sociale degli animali più evoluti non conduce, come molti credono, a ridurre le differenze fra uomo e animale, ma al contrario: soltanto un buon conoscitore del comportamento animale è in grado di valutare la posizione unica e più elevata che l'uomo occupa fra gli esseri viventi […] l'elemento essenzialmente umano, cioè quelle alte creazioni della ragione e dell'etica che non sono mai stati presenti nel regno animale […] Dire che gli animali sono migliori degli uomini è semplicemente una bestemmia; anche per la mente critica del naturalista, che non nomina con futile presunzione il nome di Dio, quella frase rappresenta un satanico rifiuto dell'evoluzione creativa del mondo degli organismi viventi. Purtroppo una schiera terribilmente numerosa di amici degli animali, ma soprattutto di coloro che li proteggono, insiste su questo punto di vista eticamente tanto pericoloso […] colui che, deluso e amareggiato dalle debolezze umane, toglie il suo amore all'umanità per darlo a un cane o a un gatto, commette senza dubbio alcuno un grave peccato, vorrei dire un atto di ripugnante perversione sociale. L'odio per l'uomo e l'amore per le bestie sono una pessima combinazione [fonte].