Universo e Vita

Più l'Universo è grande, meno è straordinario il fenomeno della Vita.

In termini probabilistici, maggiori sono la quantità di materia contenuta nello spazio ed il tempo trascorso, maggiore è la probabilità che, da qualche parte, gli elementi si combinino in modo da formare una struttura autoreplicante, il precursore di quel fenomeno che, a posteriori, chiamiamo vita.

L'immensità dell'universo riduce la straordinarietà dell'evento fortuito all'origine della vita.

Hubble ultra deep field
Hubble ultra deep field by NASA and ESA

Nella diatriba tra atei e credenti, un classico cavallo di battaglia dei credenti è l'aforisma del celebre astronomo Fred Hoyle:

Che quella faccenda complicata e complessa che è una cellula sia nata spontaneamente e per caso sulla Terra ha la stessa probabilità che un tornado, passando su un deposito di rottami, ne tiri fuori un Boeing 747 perfettamente funzionante. [Fonte]

Mi permetto l'audacia (o insolenza?) di contraddire Hoyle. Nella sua seppur breve asserzione scorgo ben tre errori ed una illogicità.

Il primo è un errore che potremmo definire di valutazione. Le cellule eucariote sono enormemente più complesse rispetto alle cellule procariote e, a loro volta, le attuali cellule procariote sono di gran lunga più complesse rispetto ai procarioti ancestrali.
Il paragone di complessità proposto da Hoyle (boeing/cellula) è ammissibile in riferimento ad una moderna cellula eucariote, ma spropositato se riferito alla cellula primordiale.

Il secondo errore è quello fondamentale, che inficia la validità dell'affermazione di Hoyle.
Il presupposto, che dall'aforisma appare assodato, è che la vita abbia avuto origine improvvisa, come se la prima cellula fosse emersa in un momento circoscritto.
A prescindere dal punto arbitrario nel quale si conviene fissare l'origine della vita, la comparsa della cellula primordiale rappresenta una fase avanzata di un percorso evolutivo iniziato, molto tempo prima, a livello delle molecole organiche.
Hoyle trascura che gli acidi nucleici spogli, privi cioè di supporto cellulare, svolgevano già la funzione essenziale della vita, ovvero copiare sé stessi. Per di più disponevano dell'energia necessaria a compiere tale processo indipendentemente dal sostegno fornito dalla cellula: il fatto che, tutt'oggi, l'energia chimica della vita siano i nucleotidi ATP e GTP (subunità degli acidi nucleici) è un'evidenza che suffraga tale ipotesi.
Solo successivamente, quando i coacervati inglobarono gli acidi nucleici, emerse la protocellula, struttura che risultò vantaggiosa poiché aumentava le probabilità di successo di riproduzione delle copie degli acidi nucleici, e che migliorò progressivamente, sottoposta alla pressione selettiva, tramutandosi nell'unità fondamentale della vita che oggi conosciamo.

Il terzo errore è connesso al precedente. Il paragone proposto (un tornado, passando su un deposito di rottami, ne tiri fuori un Boeing 747 perfettamente funzionante) è oltremodo forviante poiché rappresenta una dinamica che non ha nulla a che vedere con l'evoluzione.
Nessuno organismo, compresa la cellula primordiale, si è mai formato dall'aggregazione istantanea delle singole componenti. Credere ciò significa non conoscere l'evoluzione che, per definizione, è un processo di cambiamenti graduali da generazione in generazione.
Mi colpisce inoltre l'uso del termine "spontaneo", il quale rimanda all'obsoleta concezione della generazione spontanea che, assieme alla concezione dell'eredità dei caratteri acquisiti (lamarkismo), sebbene entrambe confutate, persistono purtroppo nell'immaginario collettivo.

Come si può leggere su wikiquote, l'aforisma di Hoyle risale ad un'intervista del 1981, epoca in cui gli studi di Oparin e di Miller erano già noti ed accreditati.
Non v'è dunque attenuante per gli strafalcioni di Hoyle, essi dimostrano la saccenza del proprio autore che discetta su qualcosa che non conosce: la Biologia.

Sorvoliamo sugli errori e guardiamo alla logica. Quella di Hoyle è un'illazione tendenziosa, poiché attraverso il presupposto che una cellula non può essersi formata in maniera casuale, si allude all'intervento di un ingegnere divino.
Se definiamo Dio come intelletto supremo che ha deliberatamente creato la vita, siffatto essere avrà certamente una complessità infinitamente maggiore rispetto a quella di una qualsiasi cellula, pertanto, in virtù del medesimo principio invocato da Hoyle (maggiore complessità = minore probabilità) la comparsa "spontanea e per caso" di un'intelligenza divina è infinitamente meno probabile rispetto alla comparsa di una qualunque cellula. Perciò anche nel caso in cui l'asserzione di Hoyle fosse stata corretta, la logica ci avrebbe comunque indotto a respingere l'ipotesi di Dio ed accogliere l'ipotesi abiogenetica.

Halobacteria with scale
Halobacterium sp. (Archaea)

La formazione dei replicatori è ragionevolmente ascrivibile al caso.
In continuazione, nell'universo, gli elementi reagiscono in vari modi combinandosi in innumerevoli tipi di molecole, più o meno stabili, con proprietà differenti. L'autoreplicazione non è che una delle proprietà che le molecole possono assumere. Una macromolecola autoreplicante si può definire come un particolare tipo di catalizzatore: reagisce con i monomeri (le medesime subunità di cui è costituita) portando alla formazione di una copia della propria struttura. Un replicatore è una sorta di conio di se stesso.

Azzeccare la combinazione vincente al superenalotto è altamente improbabile, eppure se centinaia di migliaia di schedine vengono giocate più volte a settimana per mesi, qualcuno prima o poi vincerà.
Similmente la formazione casuale di una struttura molecolare autoreplicante è - forse - improbabile, ciononostante se su miliardi di pianeti avvengono costantemente reazioni casuali fra elementi, per miliardi di anni, prima o poi, l'evento fortuito precursore della vita si verificherà da qualche parte.

NASA-Apollo8-Dec24-Earthrise
NASA Apollo 8

La probabilità non è legata, a mio avviso, all'estensione dello spazio, bensì alla quantità di materia in esso contenuta. Più la materia è abbondante, più elementi si scontrano, più reazioni avvengono e più la probabilità di insorgenza di strutture autoreplicanti tenderà ad 1.

Tuttavia solo parte dei pianeti dispone dei requisiti necessari allo sviluppo della vita.

  • In primo luogo è indispensabile che il pianeta orbiti ad una distanza idonea da una stella, tale da garantire temperature intermedie sulla superficie. Di fatti a temperature eccessivamente elevate, i legami chimici si rompono e nessuna molecola è stabile. Viceversa, a temperature eccessivamente basse la materia diventa progressivamente immobile, impedendo qualsiasi reazione chimica. Inoltre la radiazione solare è la primaria fonte di energia alla quale eventuali organismi possono attingere.
  • Altresì essenziale è la presenza abbondante di un solvente neutro che mantenga in sospensione i soluti. Il solvente inorganico (disponibile in ambiente abiotico) per eccellenza è l'acqua (esistono altre tipologie di solvente dalle caratteristiche simili?).
  • Abbondanza di un elemento in grado di formare legami covalenti e di polimerizzare. Il costituente della struttura autoreplicante nel nostro caso è il Carbonio, ma il Silicio, che giace sotto il Carbonio nella tavola periodica (elementi dello stesso gruppo possiedono proprietà simili) potrebbe assolvere alla medesima funzione.
  • Presenza di una varietà di elementi che il polimero può integrare alla propria struttura, sfruttandone le diverse proprietà a seconda delle esigenze.
  • Presenza di concavità sulla superficie del pianeta, le quali forniscono un ricettacolo per le reazioni chimiche (sulla Terra i replicatori e più tardi le protocellule si formarono verosimilmente all'interno delle pozze di scogliera).

Per tentare un calcolo della probabilità di insorgenza della vita, è innanzitutto necessario stabilire cosa si intende per vita. Se definiamo vita come organismo costituito da una o più cellule, ovvero facendo riferimento al nostro peculiare modello di vita, il calcolo si complica. Se invece definiamo vita in senso più ampio, ovvero ogni struttura che produce copie di sé stessa le quali vengono selezionate dall'azione dell'ambiente, allora mi pare si tratti in definitiva di calcolare la probabilità di Successo P(k) su Prove Ripetute ed Indipendenti, per cui mi domando se a tal proposito l'applicazione della formula della Distribuzione Binomiale sia appropriata.
Ponendo:

  • p come termine che al denominatore presenta il numero totale delle molecole realizzabili partendo dagli elementi esistenti, e al numeratore il numero totale delle molecole che mostrano proprietà autoreplicanti.
  • q come termine che al denominatore presenta il numero totale delle molecole realizzabili partendo dagli elementi esistenti, e al numeratore presenta il numero totale delle molecole che non hanno proprietà autoreplicanti.
  • n il numero totale delle reazioni chimiche che avvengono nell'universo.
  • k il numero di successi, ossia le volte in cui compare la vita.
Formula

Per cui la probabilità che si verifichi almeno un successo, ossia che il nostro pianeta rappresenti l'unico pianeta abitato dell'universo, equivale a 1−qn.

Ad ogni modo, non essendo noti i valori dei termini, non è possibile stimare suddetta probabilità.

Se la vita esistesse su ciascun pianeta, allora potremmo supporre l'operato divino. Il fatto che la vita esiste solo sulla Terra (o forse su pochissimi altri pianeti) è una delle tante evidenze che lascia propendere per l'inesistenza di Dio.